«All’inizio dei tempi le donne Dogon staccavano le stelle dal cielo per darle ai loro bambini. Essi le bucavano con un fuso e facevano girare queste trottole di fuoco, per mostrarsi fra loro come funzionava il mondo». Così raccontava un Ogon, un vecchio capo, a Marcel Griaule, antropologo che per primo ha studiato questo popolo enigmatico. I Dogon, popolazione africana del Mali, raccontano che i Nommo arrivarono sulla Terra con un’arca accompagnata da un rumore di tuono. Dall’ordigno uscirono strani esseri anfibi con tre occhi e chele da granchio. Marcel Griaule, nel suo più celebre libro, Dio d’acqua, si interessò dei Dogon e delle loro tradizioni. ll Dio Amma, Creatore del cosmo, per riparare l’errore compiuto da uno dei suoi figli della prima generazione, appartenente alla stirpe semi-anfibia dei Nommo, decise di dar vita ad una coppia primordiale di uomini, da cui nacquero otto capostipiti dell’etnia: quattro maschi e quattro femmine che, per autogenerazione, procrearono il successivo lignaggio degli uomini. Quando i Nommo approdarono sulla Terra, il mondo era già popolato da uomini, da alcune piante ed animali, ma solo quando il demiurgo tradusse le idee in esseri, il pianeta pullulò di vita. In seguito il più vecchio degli uomini, di nome Lebè, morì e fu inumato con il capo rivolto verso settentrione, in un campo. Nel frattempo, uno dei Nommo fu ucciso ed il suo corpo offerto agli uomini, affinché essi se ne potessero cibare. La sua testa fu sepolta sotto il sedile del fabbro primigenio. Costui cominciò a percuotere il martello sull’incudine. La testa decapitata del Nommo si rianimò ed assunse un nuovo corpo, serpentiforme dalla cintola in giù. Poi il Nommo resuscitato si accostò al cadavere di Lebè per ingerirlo. Questa antichissima leggenda è stata interpretata, evidenziando i valori simbolici e cosmogonici di cifre e personaggi, nell’ambito di un mito di fondazione. Lo scenario delineato nel mito Dogon non è poi così differente dalle saghe dei Sumeri che potrebbero custodire delle tracce riconducibili, in qualche caso, a manipolazioni genetiche volte alla creazione di una specie, il Sapiens, per opera di scienziati extraterrestri, gli Anunnaki. Nel racconto africano, tra i vari aspetti che si possono riferire a tale quadro biologico, in particolare sono interessanti la commistione tra il Nommo ed il Lebè e le sembianze serpentiformi del Nommo dalla vita in giù. L’unione tra i due esseri è forse un riferimento ad un DNA umano che contiene sia i geni dei visitatori (gli “dèi”) sia quelli dell’Erectus o di un altro ominide, come delineato in certe tavolette sumeriche. Questi ed altri motivi sembrano condensare in sé sia valenze emblematiche sia avvenimenti studiati dalla paleoastronautica. Spesso il confine tra gli eventi e le loro molteplici interpretazioni è labile. Anche nel caso della civiltà che creò i grandiosi templi di Ankgor Wat, in Cambogia, testimonianze ufologiche e valori simbolici si sovrappongono. Leggende khmer narrano di una scintillante luce azzurra che tagliava in due il cielo da cui discese il dio Indra. Dal dio piovvero dei fiori sulla regina che poi partorì un figlio cui fu dato il nome di Preah Ketomealea. Egli ascese al trono nel 78 d.C. ed il suo regno durò quattrocento anni. A questa saga si collega il racconto di Preah Pisnokar, essere metà divino e metà umano. Figlio di Sota Chan, dea lunare decaduta, e Loem Seng, un terrestre. Preah fu portato su un carro di fuoco nella dimora celeste di Indra, da cui fu istruito in molte branche del sapere. Si è tentati di leggere anche in queste narrazioni khmer l’unione tra una progenie esterna ed una stirpe della Terra. Forse, come è scritto in certi documenti mesopotamici, l’Homo sapiens è un lulu, un mescolato? La scultura Dogon della Coppia primordiale qua presente proviene da Sangha, in Mali, ha un’altezza di 133 cm e pesa23 kg.