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TERRA IN TRANCE

La scarificazione

 

La scarificazione consiste in incisioni, tagli della pelle (con coltelli, rasoi, conchiglie, pietre affilate, ecc.) bruciature, allo scopo di produrre cicatrici permanenti. Ogni cicatrice viene sfregata varie volte con polveri e prodotti coloranti e lasciata a lungo aperta, finché la pelle non si cicatrizzi con forte evidenza plastica. I motivi preferiti sono solitamente di tipo geometrico, ma a volte vengono incisi animali stilizzati. Ogni etnia aveva i propri simboli. Sovente le donne avevano imponenti scarificazioni sul ventre, che ne costituivano anche l’attrazione sessuale. Come il tatuaggio e la mutilazione, la scarificazione era considerata segno di qualificazione sociale, e parecchie donne affermavano che senza quei segni non si sarebbero mai sposate.

Le scarificazioni femminili erano infatti fortemente attrattive per gli uomini dei vari clan, che non sopportavano la pelle liscia, ma preferivano accarezzarne le escrescenze.
Lo testimonia un canto d’amore bantù: “Che meraviglia il seno di Lie, gonfio come frutti di papaia! La loro pelle, prima muta, liscia e insipida Ora ha scalini regolari Che portano alla loro sommità! Percorrerli con le dita e con la bocca Vederli così rilevati Come gradini di un tempio È un piacere che esalta il desiderio e l’amore”

Questo processo venne utilizzato anche dalle popolazioni nordiche in epoca romana. Ad esempio gli storici romani affermavano che i Goti si incidessero le guance per non far crescere la barba.
La scultura della Collezione Garuti rappresenta la Regina Madre Pombibele – ovvero “Colei che dona la nascita” – , dell’etnia dei Senufo. Tali sculture venivano portate nelle processioni iniziatiche della società segreta Poro e nei riti funebri. Da notare la capigliatura acconciata con la testa del Calao, il mitico uccello fondatore dell’etnia, le scarificazioni sul viso, sul seno e sulle gambe. Questa statua ha un’altezza di 120 cm e pesa 12 kg.

 

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